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Sir Alex Ferguson intervistato a Roma

Pubblichiamo uno stralcio dell’intervista presente nell’edizione odierna del Corriere dello Sport.

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Sir Alex, come si diventa una leggenda del calcio?

“Penso di essere arrivato io nel club giusto, a li­vello mondiale il Manchester United ha una notevole  considerazione.  Quando sono  arrivato la mia più grande sfida era  tornare ai successi del  passato  a ll epoca  di Matt  Busby.  Ovvia ­ mente  ci vuole del tempo  per questo. All’inizio non ero preparato per questo cambiamento: do­vevo cominciare da zero  creandole fond amen­ ta di una società di calcio,  non ero l’erede di un qualcosa già in piedi. D calcio  come  industria dipende dai successi: devi  vincere per  soprav­vivere. Quando  un allenatore prende  una squa­dra,  il suo  primo  pensiero è portarla ai livelli più alti . Ero molto cosciente di questo all’inizio ma  non  potevo cambiare la mia  filosofia   non potevo rinunciare alle idee in cui credevo. Co­ sì ho cominciato come  avevo  fatto all’ Aberde­en” .

Partendo dalle fondamenta, dai giovani.

“Si cominciando dai  giovani . Dà  un’enorme gioia preparare un giovane e vederlo giocare in Premier League, poi in nazionale, seguirne la crescita. Ho imparato che i giovani,  quando dai loro  un’opportunità, la colgono  e ti rimangono fedeli  proprio perché hai dato loro una fiducia così grande. Ci vuole del tempo per tutto questo io sono fortunato ad aver  lavorato con Bobby Charlton, lui c’era stato  prima di me e sapeva cosa fosse veramente il Manchester United.  Mi ha supportato in pieno  in questa mia  voglia di crescere giovani talenti sin dall’inizio. Il suo ap­poggio incondizionato è stato la mia fortuna: in Inghilterra, come  in ogni  parte del mondo   se perdi  tre  partite sei  fuori.  Ho potuto  lavorare sulle  fondamenta, poi mano  a mano  sono arri­vati i vari  campioni che tutti  conosciamo. E poi è arrivato il nostro  primo  trofeo” .

Lo sciopero ha ritardato la partenza della  Se­rie  A, ma  intanto sono  già stati esonerati due allenatori. Che  immagine ha del calcio italia­no?

“Come ho spiegato anche all’università, l’anda­ mento  del calcio  è ciclico.  C’è stato il periodo del  Real Madrid negli anni Sessanta. la rivali­ tà tra  Milan  e Benflca, l’epoca dell’Aja.x e del Bayern, il periodo d’oro  del  Milan di Baresi, Maldini  e dei n·e olandasi, un momento fanta­ stico  per il calcio  italiano che era  molto poten­ te. Poi sono venute fuori le squadre spagnole, al momento hanno  due delle  migliori formazioni al mondo, Barcellona e Real Madrid . Anche  il calcio inglese sta attraversando un buon perio­ do, il Manchester ha partecipato a tre finali nel­ le ultime  quattro edizioni della  Champions. Al momento il calcio  italiano attraversa un ciclo negativo, ma non durerà per sempre” .

Guardiola va di moda, molti club scelgono gio­vani allenatori convinti che  questo p-orterà dei risul tati.  Questo mo·dello  può  funzionare an­che  in Italia?

“Non è applicabile a tutti . Bisogna  ricordarsi che  Guardiola è stato un giocatore, ha impara­to da Cruyff e dagli altri allenatori sn·anieri che hanno  allenato il Barça, Cruyff,  Van Gaal.  Ha imparato dai suoi maestri ma ci ha messo  anche del suo.

Questo Barcellona è la squadra più forte di tutti i tempi?

“Sicuramente rientra tra le formazioni più for ti di sempre. Ma c’è anche il Milan di Baresi Ancelotti, Donadoni e degli olandesi, una squadra fantastica . Nel calcio la memoria dura pochi secondi, oggi tutti dicono che il Barcellona è una squadra fantastica però all’epoca la stessa cosa si diceva del Milan. C’è la squadra del momento, il Milan lo era ieri, gli spagnoli lo sono oggi. Sicuramente sono tutte squadre da applaudire per la qualità che portano e hanno portato nel calcio. Non credo abbia senso chiedersi quale sia la formazione più forte di sempre, l’importante è ricordarsi che una certa squadra
è stata speciale. Penso alle olandesi negli anni Settanta, al Bayern: tutte squadre del loro team. E non posso dimenticare il Celtic, che ha vinto contro l’Inter la Coppa dei Campioni nel1967. Quella era una squadra i cui giocatori erano nati tutti nel raggio di 25 km. Erano il team del momento e io calcisticamente sono cresciuto giocando contro di loro”.

In 25 anni è cambiato il calcio ma lo United è sempre stato protagonista nonostante cessioni importanti come quelle di Beckham e Cristiano Ronaldo. Come fa a continuare a costruire squadre competitive?

“E’ molto facile per me, perché guardo sempre avanti . Non ci sono dubbi su chi sia il manager dello United. Io sono il tecnico: oggi, domani e dopodomani. Posso lavorare a breve e lungo termine. Una parte del mio lavoro è seguire la crescita dei giocatori ma anche il loro invecchiamento.
La partita non bara: se uno non vale, si vede; se l’età avanza, il campo lo dimostra. Certo, diventa molto difficile separarsi da un giocatore: costruisci con lui nel tempo un rapporto familiare. Tutti questi giocatori mi hanno dato tanto per molti anni . Però a un certo punto mi concentro sui giovani del vivaio
cerco fuori, in aln·e squadre, qualcuno uguale o migliore di chi è andato via. Da due anni stiamo lavorando per cercare qualcuno come Scholes,ad esempio, ma è difficile”.

Dopo il ritiro, a chi lascerebbe volentieri la guida del Manchester United?

“Nel corso degli anni me l’hanno chiesto ripetutamente. Molti degli allenatori che dicevano di poter prendere il mio posto oggi non lavorano neanche più nel calcio … Magari trovo una persona che penso possa avere le potenzialità, ma da un anno all’altro incontra delle difficoltà. Intanto chiariamo una cosa: non mi sto ritirando …”.

Quale calciatore italiano ha ammirato di più? Che avrebbe voluto nei Red Devils?

“Una volta feci una richiesta al padre di Maldini, Cesare: mi guardò come se fossi stato un pazzo e quella risposta mi è bastata a capire che era un “no”. Ho amato molto Zola: giocava sempre con il sorriso e con il giusto spirito sportivo”.

Tra gli allenatori italiani chi ha lasciato qualcosa nella storia del calcio?

“Sacchi ha cambiato il calcio italiano, ha abolito il catenaccio proponendo il pressing alto, con Maldini che spinge sulla fascia. E’ stato un cambio di mentalità, vale lo stesso nelle squadre di Capello. La mentalità italiana era attaccare ma in sicurezza, con cautela. All’improvviso, niente catenaccio ma difesa a quattro, con Una squadra propositiva in attacco che non aspettava il contropiede. Un grande cambiamento”.

Guardiola cosa ha portato di nuovo? Potendo rigiocare la finale di Champions, cosa cambierebbe?

“Ha adottato la stessa filosofia dei tecnici olandesi che erano stati al Barcellona ma ha puntato molto sui centrocampisti offensivi. Ora tutte le squadre giocano con dieci uomini, lui ha cambiato parecchio rispetto ai tecnici precedenti”.

A Barcellona ha vinto la Champions contro il Bayern negli ultimi due minuti, era il1999. Cosa ricorda?

“Nel secondo tempo il Bayern ha iniziato ad attaccare di più, aprendo il gioco. Poteva farci altri due gol. Non so se il destino c’entrasse qualcosa
con il risultato, ma non è inusuale per lo United fare gol all ultimo minuto. Non è un incidente, no: noi non ci arrendiamo mai. Abbiamo giocatori di carattere e personalità, contro di noi non puoi mai essere sicuro del risultato”.



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