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Il portiere: gioco con i piedi sotto pressione

di Claudio Filippi e Luca Squinzani

Quando si dice “un lavoro fatto con i piedi”. Ormai è appurato che con la continua evoluzione del gioco, il portiere abbia dovuto ampliare le sue competenze: pur rimanendo prioritaria la sua mansione di guardiano della porta, è sempre più parte integrante nella costruzione del gioco dal basso da parte di molte squadre, in particolare di chi vuol praticare un calcio, sì equilibrato, ma offensivo. Interessante è quindi capire cosa succeda in partita, in quale modo gli venga richiesto di gestire la palla e come durante le sedute di allenamento si possa pensare di creare esercitazioni funzionali, che andranno poi integrate attraverso il lavoro con la squadra-di reparto. Continua a leggere Il portiere: gioco con i piedi sotto pressione

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La presa alla figura

di Claudio Filippi e Daniele Borri

La presa sin dagli anni sessanta era considerata uno degli aspetti tecnici utilizzati per definire la bontà o meno di un portiere. In quel contesto storico, in cui la maggior parte degli italiani economicamente era in difficoltà, il guanto da portiere veniva visto come un lusso che pochi potevano permettersi. E, se la domenica il numero uno entrava in campo senza, nessuno lo accusava di certo. Pertanto, molti portieri continuarono a giocare senza guanti, anche quando questo indumento incominciava a diffondersi. Il guanto infatti, in quel periodo, non era niente più che un oggetto rudimentale coi portieri che si affannavano per individuare il materiale più adatto per migliorare, anche solo di poco, la presa. Sotto il profilo strettamente calcistico, un momento determinante per la storia di questo “mezzo” e quindi “della presa per il portiere”, è stato il passaggio dal pallone in cuoio a quello in materiale plastico gli inizi degli anni 70. Continua a leggere La presa alla figura

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La rialzata

di Claudio Filippi e Daniele Borri

Come ormai è ben noto la prestazione il portiere è caratterizzata da interventi intensi di breve durata, intervallati da recuperi ampi con rari momenti di recupero incompleto. Le azioni di gioco del numero uno, infatti, durano al massimo tre secondi e le azioni in successione possono essere due e in rari casi tre (Filippi, 2006). Capita, infatti, di osservare portieri che dopo un primo intervento in deviazione si rialzano rapidamente compiendo grandi parate sul tiro successivo. Nella maggior parte dei casi, il secondo è determinato dalla velocità e dalla corretta esecuzione della rialzata che, per dinamiche tempi, consente al portiere di:

  • Trovarsi in appoggio in equilibrio per il tiro successivo;
  • Opporsi a una conclusione già indirizzata verso la porta (parata in recupero);
  • Recuperare con un’uscita bassa o a contrasto un pallone che rimane in una zona potenzialmente pericolosa.

La rialzata fa parte, pertanto, dei fondamentali tecnici e come tale va insegnata, dapprima singolarmente e successivamente all’interno di un contesto più ampio e dinamico, con esercitazione di doppie parate e/o doppi interventi. Nel calcio mondiale si sono due tipologie di rialzata: la prima, che ha sempre caratterizzato i portieri brasiliani, ovvero la rialzata con giro, la seconda (che tratteremo in quest’articolo), tipica degli estremi difensori italiani. A nostro modo di vedere quella che bisognerebbe insegnare sin da piccola la terza dall’italiana, che nonostante la sua complessità rispetta quella con giro hai il vantaggio di consentire al numero uno di mantenere per tutta la sua esecuzione il corpo rivolta al campo con le spalle in avanti. Un atteggiamento più propenso alla ricerca della palla e meno difensivista rispetto alla rialzata peculiare dei sudamericani. Dimostriamo di seguito, con l’aiuto di alcune immagini, la nostra proposta didattica per una corretta rialzata. Continua a leggere La rialzata